“Nel giugno del 1847 […] volle che io lo conducessi all’Isola dell’Elba a passarvi una settimana. Vi andammo una domenica servendoci della Via Ferrata fino a Livorno, della diligenza dei Fratelli Franconi per attraversare la Maremma fino a San Vincenzio, di un pessimo veicolo chiamato a spregio Cazzarola e della barchetta postale senza converta per correre le dodici miglia di mare che intercedono tra quella piccola città e Portoferraio.”
Cosi cominciava la settimana di villeggiatura all’Elba che Giuseppe Bezzuoli trascorse con l’amico e medico personale Alessandro Foresi.
Era una di quelle serate di calma piatta, senza un alito di vento tra la punta del Cavo e la Torre della Linguella. I due viaggiatori entravano a Portoferraio stanchi ed affamati solo verso mezzanotte, dopo “cinque ore di viaggio in mare a forza di remi”.
Ce lo racconta con gustosi e coloriti dettagli Alessandro Foresi, nell’ottavo capitolo delle sue memorie.
“Mio padre – continua – credendo di farci cosa gradita, ci fece trovare un pasto che si rivelò quasi un emetico. Una minestra fatta sul brodo di pesci pestati, inventata 35 anni innanzi dal cuoco di Napoleone il Grande: poi si venne alle triglie fritte, al dentice lesso, ai paraghi in umido e all’arrosto di morena. Io credo che se la Groenlandia fosse stata vicina come Montecristo ci avrebbe portato anche il pan di pesce degli Eschimesi […]. Le chiacchiere ci fecero fare poi le 2 del mattino.”
I due si erano conosciuti a Firenze quattro anni prima, nel 1843, in occasione del ritratto che Bezzuoli aveva fatto a Maria Guarello, la mamma di Alessandro. Si frequentavano negli ambienti da Grand Tour dell’aristocrazia, tra ricevimenti asburgici a Palazzo Pitti, feste in costume dai Principi Demidoff a San Donato, ritrovi alla villa fiesolana del Bezzuoli (Villa Capraia sotto Fiesole), serate al Caffè Doney, incontri al riformista Gabinetto Viesseux, salotto letterario di gran moda.
Ma il rapporto si era davvero consolidato quando il giovane chirurgo aveva rimesso in piedi il pittore di ben 28 anni più vecchio, tabagista incallito e donnaiolo, dopo seri problemi legati al tratto urinario.
[…] “il povero amico mio s’era dato a ruzzare con venere” racconta il Foresi che trovandolo diverse volte barcollante in piena notte in via Porta Rossa o in Borgo Pinti, aveva fatto infuriare l’amico cercando di salvaguardarlo dalle giovani allegre come “l’antica pappina di Santa Maria Nuova” .
Erano i tempi del “Voyage en Italie”.
Firenze pullulava di intellettuali e artisti. L’aveva scelta a dimora la poetessa inglese Elisabeth Barret Browning e la visitavano gli scultori d’oltreoceano Horatio Greenough e Hiram Powers, il pittore romantico Thomas Cole della Hudson River School e il suo collega Robert Walter Weir che aveva definito il Bezzuoli “the best colorist of the present italian school”.
Oltre agli “anglo beceri”, come venivano scherzosamente definiti dai fiorentini, vi erano i russi e i francesi. Stendhal vi aveva sperimentato nel 1817 la celebre affezione psicosomatica che da lui prese il nome, Ingres si trovava in città ospite dell’amico Lorenzo Bartolini.
Quartier generale degli artisti era l’Accademia di Belle Arti. Il Bezzuoli vi gravitava prima come allievo di Pietro Benvenuti e poi, alla sua morte nel 1844, come titolare della cattedra, con allievi come Giovanni Fattori, Emilio Lapi, Antonio Ciseri, Stefano Ussi, Antonio Puccinelli.
“Si studiava, si passeggiava, si cantava, si facevano di belle merende […] e sebbene con pochissimi quattrini eravamo sempre allegri e contenti”. Scriveva il pittore Niccolò Monti a Luigi Sabatelli ricordando quei tempi.
Nonostante la differenza di età Foresi e Bezzuoli erano legati da una sincera intesa umana ed intellettuale e da comuni interessi artistici.
Alessandro, zio di quel Mario che nel 1914 donerà la prestigiosa collezione d’arte della Pinacoteca alla città di Portoferraio, oltre che medico era anche un importante mecenate e un antiquario che trattava con collezionisti del calibro di Napoleone e del barone Rothschild, e che compare tra i soci fondatori del Museo del Bargello.
Insieme al fratello Raffaello, aveva fondato la rivista “Il Piovano Arlotto” chiusa in seguiti ad una lettera in difesa di Francesco Domenico Guerrazzi.
Ma tornando all’avventura elbana, il giorno dopo il loro arrivo, i due si diressero alla villa del senatore Duchoqué (oggi proprietà Gasparri n.d.r.) dove Bezzuoli aveva dipinto nel 1824 un San Marco evangelista per la piccola cappella omonima del Podere. Commissionata da Pasquale Lambardi, zio e padre putativo del senatore, l’opera si trova adesso in mostra alla Pinacoteca Foresiana insieme ai capolavori del Bezzuoli giunti dalle Gallerie degli Uffizi.
“Eppure ancora allora non dipingevo male!”, aveva detto il Bezzuoli rivedendo l’opera giovanile citata come la più invidiata dal suo maestro Pietro Benvenuti insieme a una Francesca da Rimini poi dispersa.
Un altro incontro indimenticabile dell’avventura elbana fu quello a Rio Marina con Giuseppe Scappini, “uomo semplice e di cuore che da semplice marinaro di quei barchi quasi sdruciti che trasportavano il materiale ferrifero a Follonica” era diventato un armatore con 20 bastimenti.
Lo Scappini, che fumava 50 sigari al giorno, era il suocero di Giuseppe Tonietti, l’imprenditore che gestiva le miniere di ferro, ed era amico del Granduca Leopoldo II, che “mai si sarebbe avventurato ad attraversare il canale di Piombino se non su un suo mezzo” e che a casa Scappini aveva la sua camera.
Il vecchio armatore li aveva accolti con “[…] vivande ben cucinate e vini di Francia e di Spagna. La camera di Leopoldo II era stata riservata al Bezzuoli per dormire. Ci avevsno fornito poi cavalli e guide per visitare la miniera. […] Vogatori per visitare Longone”.
Ma furono la mattanza dei tonni nella rada di Portoferraio e la pesca del dentice a Lacona a dilettare “in modo indescrivibile” il Bezzuoli, che “aveva pescato solo lasche e barbi nell’Arno e nel Mugnone.”
Prima di lasciare l’isola, i due amici non si fecero mancare un tramonto al Forte Stella, per vedere dove era stato il busto del Cellini di Cosimo I prima di essere trasferito al Bargello e un giro su fino al cammino coperto del Forte Falcone, visitando le prigioni di Francesco Domenico Guerrazzi, Carlo Bini e del conte Agostino.
“Povero Guerrazzi che aveva troppo presto gridato viva la libertà e l’indipendenza della Patria, [..] nella placidissima notte del 12 marzo 1848, nella quale io afflitto e lacrimare per la perdita della amatissima madre mia, lo ebbi compagno di viaggio dalla sua prigione di Livorno” ricordava ancora Foresi nelle sue Memorie.