Pochi giorni fa McKinsey, una tra le più note e importanti società di consulenza a livello mondiale, ha pubblicato uno studio nel quale si trovano riflessioni e previsioni su un tema cruciale: il futuro del lavoro dopo il Covid-19. Settori di occupazione e professioni che perdono terreno o si sviluppano, competenze che cambiano, molto altro.
La stessa società già a gennaio 2021 aveva diffuso un altro contributo simile: “il prossimo normale arriva: i trend che definiranno il 2021 e oltre”.
Sono studi interessantissimi perché assieme a tanti altri, ci danno una visione qualitativa dall’alto sul futuro che ci aspetta nel mondo del lavoro. La pandemia sta provocando conseguenze di rilievo in molti settori, è indubbio. Tuttavia è bene tener conto che essa è intervenuta su una situazione preesistente che già tanti hanno definito di grande trasformazione, un vero cambiamento d’epoca, nelle società e nell’economia del mondo. Anche nel lavoro: gli effetti della globalizzazione e del mutamento tecnologico digitale sono visibili da tempo.
Nella storia, le rivoluzioni economiche hanno distrutto posti di lavoro ma hanno sempre poi creato nuovi settori produttivi o servizi generando così occupazione, di tipo nuovo, in differenti settori. Molti studiosi affermano che stavolta non sembra essere esattamente così, almeno per il momento. Da quasi vent’anni, l’innovazione tecnologica e l’automazione progrediscono riducendo professionalmente ai margini ampie fasce di lavoratori che non riescono a ricollocarsi né in tempi rapidi né facilmente. Magari si adattano a occupazioni assai meno qualificate e a remunerazioni più basse. La ricollocazione in nuovi lavori appare essere lenta per molti. Non sembra esservi coerenza tra il ritmo forsennato del cambiamento e il ritmo lento dell’adattamento professionale. Con conseguenze sociali non da poco.
Non si tratta solo di automazione dei lavori esecutivi, a più basso contenuto professionale. La digitalizzazione e l’intelligenza artificiale stanno sostituendo l’essere umano pure in lavori prima impensabili. Scrivere articoli di giornale, tanto per dirne una. Ma ciascuno è facilmente in grado di rendersi conto di quante cose oggi facciano le “macchine” rispetto ad un passato neanche troppo lontano.
Qualcuno sostiene che le opportunità di lavoro si stanno da tempo polarizzando. Da una parte gli impieghi di più basso profilo, svolti dai gruppi sociali più precari, e non ancora troppo toccati dall’automazione per loro stessa natura, come i riders o gli addetti alle pulizie ad esempio. Dall’altra parte i lavori che invece richiedono nuove competenze specialistiche e che quindi sono più pagati. Nel mezzo una massa di impieghi più tradizionali che sta retrocedendo in quantità e qualità, proprio a causa della globalizzazione e della tecnologia.
Ecco allora la pandemia. Ha impresso una accelerazione talvolta molto forte ad alcuni di questi fenomeni. Gli studi McKinsey sopra citati aiutano a individuare in modo molto efficace queste evoluzioni anche per il futuro.
Pensiamo per un attimo all’esperienza di ognuno di noi nell’anno trascorso: come abbiamo lavorato, come abbiamo acquistato, cosa non abbiamo fatto che abitualmente invece facevamo. Focalizzare l’attenzione su questo significa già comprendere le basi su cui il Report arriva alle conclusioni. Insomma, esse non devono sorprenderci più di tanto, se ci riflettiamo bene.
E dunque: cosa sarà il mondo del lavoro a pandemia superata? Anzitutto un fattore discriminante nel modificare le occupazioni è la prossimità, il dover lavorare vicino ad altre persone, interagire con i clienti, ad esempio nei negozi, nelle banche, nei servizi alimentari. Gli effetti della pandemia anche di tipo psicologico e l’abitudine acquisita, che resterà, di usare molto più la rete (acquisti, servizi, altro), faranno sì che questi impieghi soffriranno anche dopo che essa sarà finita.
Le nuove abitudini di acquisto in rete probabilmente aumenteranno sì le opportunità nella logistica: magazzini merci, spedizioni, consegne a domicilio. Ma accresceranno ben poco la massa degli impieghi a più basso reddito di cui si diceva sopra e, soprattutto, sembra che difficilmente potranno compensare le perdite di impieghi nei lavori in cui la prossimità con l’altro è irrinunciabile.
Aggiungiamoci poi le nuove modalità di lavorare e riunirci da remoto usando strumenti digitali: sono abitudini che si prevede rimarranno anche dopo la pandemia, sia pure più circoscritte, e comporteranno nuove criticità per le professioni legate per esempio al turismo di affari. Ed è evidente come a sua volta questo implichi conseguenze dello stesso tipo per ogni attività collegata, dai mezzi di trasporto, agli alberghi, ai servizi alimentari. E magari anche per chi si occupa di gestire spazi fisici per le imprese, che si pensa ridurranno le loro dimensioni. Tutto è sempre strettamente connesso in economia. Si tratterà di capire se tutto questo, che muove una quota importante di affari, sarà compensato dal turismo di piacere che si prevede avrà un buon rimbalzo a pandemia conclusa.
L’automazione digitale che era già in atto da prima in molti settori e per molte professioni, in imprese manifatturiere e di servizi (per esempio l’automazione dei processi produttivi e l’home banking, ma gli esempi sarebbero tantissimi), è stata accentuata dal Covid 19 e la previsione è che così continuerà anche dopo. Uscirà rafforzata l’evoluzione già prima evidente: la necessità di avere e consolidare competenze professionali nuove, differenti rispetto al passato e più complete. Meglio pagate. Viene stimato che quasi tutta la crescita di nuovi lavori sarà per quelli ad alta remunerazione.
Tanti saranno obbligati a cambiare lavoro: ci riusciranno se e in quanto avranno competenze all’altezza dei nuovi impieghi che si creeranno o che stanno cambiando, già adesso.
Nel mondo del lavoro la pandemia ha notevolmente enfatizzato in molti ambiti trasformazioni già in atto. Aumentato la velocità del cambiamento. Qualcuno potrebbe dire: piove sul bagnato. Ma un equilibrio nuovo alla fine si imporrà. Occorre esser lesti a alzare lo sguardo.