Forse sarebbe opportuno chiederselo: come e perché numerose scoperte o creazioni dell’uomo vengono attribuite al caso, all’errore, al capriccio piuttosto che all’inventiva e alla fantasia? Dalla mela che cadendo suggerì a Newton la teoria dell’attrazione universale − evento a lungo ritenuto reale, poi ascritto al novero delle leggende, infine confermato da un manoscritto recentemente reso pubblico dalla Royal Society britannica − fino alle innumerevoli storie e storielle d’impianto gastronomico.
Come quella delle praline, i cioccolatini ripiani di crema, sciroppo, liquore, canditi, che la leggenda vuole nate nelle cucine di monsieur Clement Jaluzot, cuoco di César de Choiseul, duca di Choiseul e conte di Plessis-Praslin, sul finire del Seicento per errore di un maldestro garzone che, inciampando, aveva rovesciato in terra un piatto mandorle.
Fin qui poco male, se il cuoco, nel rincorrere il malcapitato per impartirgli una buona frustata, non fosse a sua volta scivolato rovesciando nello stesso punto la casseruola di zucchero caramellato che impugnava minaccioso. Il tempo per un nuovo dolce mancava, così monsieur Clement rischiò il tutto per tutto mandando in tavola l’impasto modellato in bocconcini ricoperti di cioccolato fuso.
Le improvvisate delizie piacquero tanto al duca che ne fece il fiore all’occhiello di tutte le sue feste; così che quando, divenuto ministro di Luigi XIV, il re in persona gliene chiese il nome, non esitò a mentire attribuendosene l’invenzione e battezzandoli quindi Prasline.
Un errore sarebbe anche all’origine del celebre Mole poblano, (piatto messicano) nato dall’ansia di ben figurare di fray Pascual. Questi, infatti, incaricato di preparare il banchetto offerto dal suo convento a don Juan de Palafox y Mendoza, viceré della Nuova Spagna e vescovo di Puebla in visita alla sua diocesi, rovesciò maldestramente del cacao nella salsa destinata a ricoprire il succulento tacchino ai peperoncini che si crogiolava al fuoco. Inutile dire che anche questo fu un successo!
Esotica e ancora più antica in quanto risale più o meno al 2737 a.C., la leggenda relativa al tè secondo la quale l’Imperatore cinese Shen Nung, “Il guaritore divino”, esperto di botanica, l’avrebbe scoperto per caso una sera mentre si riposava da uno dei suoi lunghi viaggi alla ricerca di nuove erbe e spezie. Aveva versato in una tazza dell’acqua calda, quando una foglia si staccò dalla pianta sotto la quale sedeva, cadendovi dentro. Aduso a sperimentare su di sé infusi e medicamenti, l’imperatore volle assaggiare quel che il caso gli aveva offerto e lo apprezzò a tal punto da far coltivare in tutta la Cina la pianta appena scoperta.
Forse per errore, ma più probabilmente per gelosia, lo zafferano adoperato per colorare di luce le vetrate del duomo di Milano fu rovesciato da un apprendista del mastro vetraio fiammingo Valerio di Profondavalle nel riso che andava cuocendo per banchetto nuziale della di lui figlia da lui inutilmente desiderata. Di qui il celebre risotto alla milanese… peccato però che sia stata scoperta l’esistenza di un Riz engoullé in tutto e per tutto simile ad esso in un manoscritto francese di circa duecento anni prima: il Viandier, attribuito al celeberrimo cuoco Taillevent.
Odora invece di zolfo una delle tante storie che circolano sul panpepato, anche se il tutto ha origine da un pentimento, quello di un nobile senese, Niccolò de’ Salimbeni, che per fare ammenda della sua vita dissoluta pensò di donare le sue preziose spezie alle suore di un piccolo convento. Purtroppo un giorno una novizia suor Leta, nel mettere in ordine il cellario scoprì che i sacchetti che contenevano le spezie, la farina, le mandorle e i canditi erano stati lacerati.
Il loro contenuto, mischiato insieme, sembrava inutilizzabile quando la suorina, per non sprecare quella grazia di Dio, pensò di metterla al fuoco con il miele sperando di ottenere dei dolcetti da donare ai poveri. Stava appunto mescolando il composto quand’ecco un gatto nero strusciarsi alla sua tonaca proferendo incomprensibili parole. Capire di aver di fronte il diavolo e lanciargli addosso il pentolone fu la reazione immediata di Leta. Il trambusto fece accorrere suor Berta, l’abbadessa, che volle assaggiare il contenuto del provvidenziale pentolone e, trovandolo eccellente, decise che sarebbe stato la specialità del convento.