Per la stragrande maggioranza di quanti festeggiano il Natale, il momento culminante è quello in cui ci si raccoglie intorno alla tavola imbandita. Che sia il cenone della Vigilia − che, contrariamente all’antico digiuno, esclude solo i cibi carnei − oppure il pranzo del 25, è Natale quando nelle case si diffonde il profumo della cucina dei Natali dell’infanzia.
Così l’aspetto religioso, spirituale, del Natale si trasferisce alle portate, che sono speciali, ricche, golose: esternazione di devozione e di benessere, diventano il contrassegno della ricorrenza, si fanno tradizione.
La notte di Natale, notte di “vigilia”, si dovrebbero consumare i “piatti della penitenza”, a cominciare dalle minestre di ceci o di castagne per proseguire con i pesci di mare e di lago. Ma poiché mangiare “di magro” non significa rinunciare all’abbondanza, alla ricchezza, al gusto, si imbandiscono portate numerose, ricercate, invitanti. Il gran pranzo di mezzogiorno del 25 impone invece, per antica tradizione, l’impiego del pane e della carne.
Tipici del Natale sono dunque i dolci a base di farina, il cui nome varia a seconda dei luoghi: agli ormai onnipresenti Panettone e Pandoro, adottati un po’ dappertutto, si affiancano specialità locali di cui ci limitiamo a ricordare la pagnottella di Natale tipica dell’Argentario e soprattutto di Porto Santo Stefano.
Ma, come accade per la festa, c’è chi fa risalire anche questi dolci alle sacre frittelle di farinata che − riferisce Plinio il Vecchio − si consumavano a Roma per la festa del Natalis Sol Invicti.
Comunque sia, per Natale il pane doveva essere speciale quanto a foggia e ingredienti: più alto, più grande, più ricco, con cui potersi nutrire fino all’Epifania.
Insieme al pane, la carne, alimento legato all’idea di abbondanza, al desiderio, al piacere. Una carne cotta nell’acqua per far nuotare nel suo ricco brodo scrigni preziosi di pasta ripiena o comunque utilizzata per farcire lasagne e cannelloni da passare in forno.
Ad essa seguiva il cappone ingrassato con cura, da consumare lesso ma anche arrostito in forno o sullo spiedo, al naturale o riempito con frutta secca, salsiccia, noci, pane uova e altro ancora.
C’è chi ha interpretato la farcia come un rinvio al mistero dell’incarnazione, del divino che si è calato nell’umano: simbologia che vale anche per il pane lievitato e arricchito, per lo zampone dalla polpa speziata e per la calza della Befana. Zampone e calza che, tuttavia, richiamano nella forma l’abbondanza della cornucopia ricolma, mentre la granulosità delle farce, proprio come la somiglianza delle lenticchie con le monete, sono augurio di prosperità.
I dolci originari delle nostre festività, se uscivano dalle cucine povere, erano poco più che pani, che nel tempo si sarebbero arricchiti di quel che di meglio ci si poteva permettere. E quando intorno al XIV secolo tornarono alla ribalta le preziosissime spezie un tempo amate dai Romani facoltosi, ecco che chi ne poteva disporre e ne conosceva i segreti (speziali, certose conventuali, cuochi di corte) aggiunsero all’impasto pepe o zenzero, chiodi di garofano e cannella.
Tipici della Toscana sono i coloratissimi befanini, nati a Viareggio ma diffusi in tutta la Lucchesia, di cui ogni famiglia aveva una ricetta segreta. E poi tutti i dolci forse nati dalla necessità di elaborare ricette prive di grassi animali ma, in compenso, ricche di miele e di altri ingredienti preziosi. Dolci “di magro”, quindi, ma forse anche richiamo alla leggenda che associa alla figura del Cristo il miele e le api, che sarebbero nate dalle lacrime del Salvatore, o a quella che narra di una pioggia di miele caduta la notte della sua nascita.
Ecco allora, a Siena, i cavallucci (che si fanno risalire ai bericuocoli o ai pepatelli di epoca rinascimentale), i ricciarelli (i morzelletti, detti anche marzipanetti alla usanza senese, di quattrocentesca memoria, vanto dei conventi e degli speziali), il panforte, nato dalle focacce d’acqua e farina della cucina povera locale del X secolo, poi arricchite con miele e frutta , e infine con canditi e costosissime spezie quando la sua preparazione fu demandata all’Arte dei Medici e degli Speziali.