“Sauro Cavallini, l’opera di un internato” è la mostra che racconta attraverso le opere dell’artista quanto la sua vita sia stata segnata dall’anno vissuto recluso nel campo di internamento di Gradaro a Mantova.
I mesi di prigionia segnarono profondamente la vita di Cavallini e quando iniziò a praticare la scultura, gli incubi della prigionia presero forma e si tradussero nelle sue prime opere d’arte che non avrebbe più ripetuto negli oltre 50 anni successivi.
Sauro Cavallini, uno degli artisti più significativamente prolifici della seconda metà del Novecento, conobbe dunque l’orrore dei campi di internamento durante la Seconda Guerra Mondiale e mostra nelle sue opere tutto lo strazio che si può vivere in un’esperienza del genere.
La mostra si trova esposta per tutto il mese di febbraio (dal 26 gennaio al 28 febbraio 2023) presso la Giunta Regionale della Toscana a Palazzo Guadagni Strozzi Sacrati in Piazza del Duomo a Firenze.
Si tratta di opere in ferro e in ottone, inedite per Firenze, ispirate agli strazianti nei mesi di prigionia trascorsi tra privazioni e paure; le sculture, alcune delle quali misurano anche due metri d’altezza, sono state realizzate dall’artista durante i primi anni ‘60 con la tecnica della “goccia su goccia”. Questa tecnica consiste nello sciogliere scarti metallici attraverso una fiaccola ossidrica fino a creare l’opera.
Cavallini si è servito delle creazioni di quel periodo per metabolizzare e trasferire nella materia tridimensionale un dolore che non avrebbe avuto modo di mostrare in altro modo. Volle dare forma ai ricordi dei corpi dei prigionieri, delle torture ignobili che lo tormentarono per anni.
Teo Cavallini, figlio del maestro e presidente del Centro Studi Cavallini, ha sottolineato l’importanza della finalità del progetto espositivo che inizia a Firenze e vuole proseguire ancora – “Il progetto è dedicato ai giovani e alle nuove generazioni, a chi non ha avuto la fortuna di ascoltare racconti da parte di anziani che hanno vissuto quelle esperienze nei campi di internamento italiani dal ’44 in poi”.
Poi prosegue raccontandoci cosa queste opere sono chiamate ad esprimere fin dalla loro creazione – “Queste sono opere che devono raccontare sofferenza, devono raccontare la paura ed il terrore. Sono ovviamente opere drammatiche e questi spazi vuoti, queste maternità con la pancia aperta, interrotta, esplosa raccontano la realtà di quel periodo”.
Infine Teo chiosa con un concetto che non deve mai essere considerato scontato – “Certe ideologie, certe prevaricazioni portano solo al male, quel male che si sente anche solo toccando questi ferri e la freddezza che trasudano”.