Alla fine ci siamo arrivati, dunque. Dopo tanto parlare e scrivere a proposito di previsioni sul futuro prossimo della situazione economica del Paese, il Governo ha ufficializzato (29 settembre) le proprie stime. Ci torniamo più avanti. Prima ci sono da fare alcune considerazioni. Seguendo servizi televisivi e rendiconti giornalistici, sorge spontanea una domanda. Ma la maggioranza delle persone, cosa può davvero comprendere?
Le stime del Governo sono contenute nella NADEF, un documento che rinvia al DEF e contiene dati su PIL, deficit, debito pubblico e molto altro. Ecco, già detto così, mi chiedo con enorme rispetto cosa possa comprendere una persona normale, non addetta ai lavori, con una vita e un’occupazione normali.
Intanto, cosa è la NADEF? È la Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza che a fine settembre 2021 ha rivisto e aggiornato il DEF (rilasciato a aprile scorso), Documento di Economa e Finanza, perdonate le noiose ripetizioni. Autore, il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Si tratta di documenti di grande rilievo nella gestione economica del Paese, entrate e uscite, elaborati dal Governo e sui quali si basano tra l’altro le cosiddette “manovre” nelle quali si decidono interventi e misure i cui effetti alla fine, nel bene e nel male, arrivano al nostro portafoglio di normali cittadini.
Ho la sensazione che non ci si preoccupi troppo di spiegare bene, di usare termini chiari e semplici, ma si diano troppo per scontate conoscenza e comprensione.
Facciamo un esempio. Il risparmio privato in Italia è alto, lo dicono gli indicatori, anche a confronto con gli altri Paesi. Esso si è incrementato a causa della pandemia, almeno nella prima fase di lockdown, con la recessione nei consumi. Ovviamente ci sarebbero altri aspetti da aggiungere, talvolta drammatici. Ma sullo specifico punto, in poche parole, non si è speso perché chiusi in casa e per la grande incertezza sul futuro, e un livello elevato di risparmio è un’ottima notizia, siamo formichine previdenti.
Ma come sempre c’è il rovescio della medaglia. In periodo di tassi di interesse bassi, o molto bassi, che remunerano poco il denaro risparmiato, sarebbe meglio invece dare uno sbocco produttivo a quel denaro, investendo nell’economia e così contribuendo a farla ripartire.
Allora mi chiedo se il risparmio privato non sia così alto perché, oltre al timore del futuro, c’è non abbastanza conoscenza da parte dei cittadini. Se non sia carente la consapevolezza su come gira l’economia, sui meccanismi e le modalità con i quali le risorse finanziarie (dunque anche il risparmio privato) possono e devono essere investite e impiegate in attività produttive. Giustamente, se non sappiamo, non facciamo.
Come sempre, si corre il rischio di troppa approssimazione quando si generalizza. Ma il sospetto viene, che sia un po’ così. Quando si sente parlare di NADEF dando per scontate conoscenze, viene spontaneo chiedersi: siamo proprio sicuri che nel nostro Paese vi sia un contesto formativo e informativo moderno e attento, a favore dei cittadini?
In un recente articolo del quotidiano “Il Sole 24 Ore”, si faceva esplicito riferimento proprio a questi aspetti di cultura finanziaria che manca. Aggiungerei anche economica. Vi si citavano ricerche di organismi internazionali di primissimo livello come OCSE e Banca Mondiale sul livello di educazione finanziaria dei singoli Paesi, dove l’Italia non fa propriamente una bella figura.
Nella “OECD/INFE International Survey of Financial Adult Literacy” (Indagine Internazionale sulla alfabetizzazione finanziaria degli adulti,), rilasciata nel 2020, un bel documento di 78 pagine dense di informazioni e tabelle che, raffrontando i moltissimi paesi aderenti all’OECD, confermano quanto l’Italia abbia un enorme lavoro da fare sul tema. Siamo indietro, troppo indietro. E, come sempre, nulla passa senza conseguenze. Per inciso, OECD sta per Organization for Economic Cooperation and Development, in italiano OCSE, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, un assai autorevole ente di studi internazionali di tipo essenzialmente economico che riunisce moltissimi Stati sviluppati del mondo dotati di economie di mercato.
Il discorso è a mio avviso di estrema importanza ma molto complesso, poiché riguarda temi basilari come l’istruzione scolastica a tutti i livelli, il ruolo dei corpi intermedi della società e dei media, di qualunque genere essi siano, con tutte le loro caratteristiche positive e negative: fare un giornalismo di qualità costa e i giornali hanno sempre meno risorse a disposizione, ma appunto il discorso ci porterebbe molto lontano e non è il caso di dilungarvisi qui.
Torniamo alla questione: il Governo ha rilasciato un documento di grande importanza per la vita del Paese e per il futuro prossimo di tutti i cittadini. Ma richiede un qualche sforzo di comprensione (è di 136 pagine, basti dire), che deve essere aiutato da qualcuno. Gli organi di informazione hanno, dovrebbero avere, questo compito. Non è più ammissibile non sapere. In un mondo così complesso e interrelato come l’attuale, è facilissimo che ciò che magari succede in Cina abbia conseguenze, poco dopo, sulla mia personale condizione economico finanziaria. Più volte anche in questi nostri articoli si è cercato di sottolineare e dare un senso a questa “ragnatela” che avvolge il mondo.
E allora vediamo qualcosa di questi dati rilasciati dal Governo nella NADEF. Anzitutto il PIL, Prodotto Interno Lordo. Misura il valore di tutto ciò che viene prodotto nel Paese, in un determinato periodo, in termini di beni e servizi. Di fatto è l’indicatore della ricchezza. Più è alto, migliori sono le condizioni del Paese, anche se in realtà la questione è un po’ più complicata di così.
Cosa ha detto dunque il Governo? Che il PIL per il 2021 aumenterà rispetto all’anno precedente del 6% circa, mentre ad aprile, nella prima previsione contenuta nel DEF, si era stimato crescesse del 4,5%. Teniamo conto che nel 2020 era diminuito del 8,9%. Per il 2022 viene stimato che esso cresca del 4,2% e nel 2023 del 2,6% e infine nel 2024 del 1,9%.
Non è possibile qui entrare in dettagli, ma va sottolineato come il “rimbalzo” dell’economia dopo la fase difficilissima del Covid sia sostanzioso, più del previsto. Tale effetto, gradualmente, poi si attenua per scomparire del tutto. Qui entrano in gioco molte altre considerazioni, a cominciare dalla capacità che dimostreremo di far tesoro (è proprio il caso di dirlo) della massa di denari provenienti dall’Europa con il cosiddetto PNRR (Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza), che potrà creare le condizioni per una crescita stabile e sostenibile, non anemica da zero virgola qualcosa, come era da molto tempo prima della pandemia. Niente affatto facile.
Il tasso di disoccupazione era al 9,3% nel 2020, si stima al 9,6% quest’anno per poi scendere progressivamente fino al 7,9% del 2024. La creazione di posti di lavoro, e il recupero di quelli persi, ha tempi più distesi e incidenze meno sgargianti.
Il deficit è la misura negativa della differenza tra entrate e uscite dello Stato, e ognuno ben sa quanto sia pericoloso spendere più di quello che entri nelle nostre disponibilità. Il rapporto tra il deficit e il PIL è un indicatore di grande rilievo. Quanto quella differenza incide sul valore della ricchezza prodotta.
Ebbene, il Governo dice che per l’anno corrente è stimato essere, questo rapporto, al 9,4%. Un altro dato in netto miglioramento rispetto alla previsione fatta a aprile che indicava 11,8%. Significa che la situazione economica è migliorata più di quanto ci si aspettasse, in modo significativo, permettendo di riassorbire parte di quella differenza.
Il debito pubblico in rapporto al PIL è l’altro cruciale indicatore di salute economica. Per l’Italia, da decenni, un cruccio, una debolezza significativa. Il debito è di fatto l’esposizione che lo Stato ha nei confronti di chi gli presta soldi e che deve restituire con gli interessi. L’incidenza del debito sul PIL individua quanto della ricchezza prodotta nel Paese deve essere destinata agli interessi da pagare su quel debito. E’ facile capire che quella incidenza si riduce o diminuendo la massa di debiti o alzando il PIL, quindi la crescita economica.
La NADEF ha dunque stimato che il 2021 avrà un rapporto tra debito pubblico e PIL pari al 153,5%: è essenziale ricordare che nell’anno orribile 2020 si era attestati al 155,6%, un livello mai raggiunto prima, e che nel DEF di aprile scorso si era previsto che l’anno corrente si sarebbe chiuso con un assai preoccupante 159,8%. In molti infatti hanno scritto e parlato con timore, se non paura, di questo dato: alla fine, prima o poi i debiti vanno pagati. Progressivamente, ma costantemente, il rapporto debito/PIL si riduce fino al 143,3% del 2024, sostiene la NADEF. E’ sempre alto, ma è fondamentale che sia in decremento.
Non aggiungo altri dati. Già questi dimostrano che il Paese è in una fase di ripresa consistente, per il momento in una sorta di picco (appunto di rimbalzo post Covid). La manifattura e l’export ad esempio stanno dimostrando ottima reattività. Il deficit e il debito pubblico sono in un percorso virtuoso di miglioramento.
La ripresa dovrebbe perciò consolidarsi da qui al 2024. Ma quel “dovrebbe” nasconde molti se e molti ma. Ci sono svariati segnali positivi, al contempo anche tante complessità e fragilità che riguardano il mondo intero (la “ragnatela”) e quindi anche l’Italia, che possono far evolvere la situazione in un verso piuttosto che in un altro.
Non mancano gli ottimisti ma neppure i pessimisti. I ripetuti disastri climatici, le difficoltà nelle catene globali di approvvigionamento e le carenze di materie prime, l’andamento dell’inflazione che sta rialzando la testa, il Covid ancora presente: sono tutti fattori la cui contemporanea presenza e recrudescenza potrebbero renderli esplosivi.
Gli indicatori adesso sono in tendenza favorevole, ma fragilità e incertezze possono rapidamente cambiare il quadro.